Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot Nero Rosé DOCG
Cosa accomuna Valentino Rossi e Roger Federer? Semplice, sono campioni che nonostante la carta d’identità tengono testa ad atleti ben più giovani. La nostra Cuvée Rosé è un po’ così: è un Metodo Classico che vuole dimostrare come il pinot nero dell’Oltrepò Pavese coltivato su terreni vocati possa dire la sua – eccome! – anche dopo un lungo affinamento sui lieviti (dai 70 ai 90 mesi).
La base di partenza prevede una cuvée composta dalle uve dei vigneti aziendali siti alla maggiore altitudine, in modo da usufruire di tutta l’acidità che il suolo ci dona. Dopo la pigiatura, l’ottenimento della colorazione rosata tramite sgrondatura e la fermentazione, il vino viene messo in bottiglia in primavera prima della lunghissima sosta sui lieviti.
Il quadro olfattivo è complesso e offre note di pasticceria da forno, spezie e ricordi di erbe balsamiche. In bocca sorprende la freschezza, ancora di buon nerbo, viva e penetrante, con una spiccata vena salina. L’abbinamento può spaziare da pietanze di carne a lunga cottura fino alla selvaggina da pelo. Ma sfidatelo anche con ostriche e pesce crudo per apprezzarne il piacevole contrasto. Meglio se gustato a 6-8 °C.
Colore | Spumante |
Gradazione | 12.50% |
Annata | 2017 |
Formato | 750ml |
Servizio | 6-8° C |
Vitigno | Pinot nero 100% |
Olfatto | Note di pinot nero dal balsamico allo speziato |
Gusto | Note di panettone e liquirizia |
Abbinamento | Piatti di carne e pesce, ottimo degustato anche da solo |
L’11 novembre del 1964 Luigi Calatroni era seduto a un tavolo: di fronte a lui un foglio con il timbro del comune di Montecalvo Versiggia, un documento che avrebbe cambiato per sempre la sua vita e che aspettava solo una firma… la sua!
Quel foglio era un contratto che attestava il passaggio di proprietà dei terreni della Casa Bella dalla famiglia Vecchietti a Luigi. Fino al 1964, Luigi aveva coltivato quelle vigne di pinot nero da mezzadro, come le quattro generazioni che lo avevano preceduto. Il mezzadro era un viticoltore che pagava l’affitto del terreno con la metà della resa del vigneto (e si sa: per un viticoltore le proprie uve sono come figli).
Dopo anni passati sotto il sole e la pioggia a curare la vigna, dopo la terribile campagna di Russia combattuta durante la Seconda Guerra Mondiale e un avventuroso ritorno in patria con mezzi di fortuna, il Vigiö d’la Cà Bela (cosi lo chiamavano) ce l’aveva fatta: aveva conquistato un lembo di terra in valle Versa e l’avrebbe tramandato con orgoglio alla generazione successiva.
Ma passiamo ai nostri giorni. Quante cose sono cambiate negli anni: i trattori sono macchine quasi perfette, la tecnologia in cantina si è evoluta e il concetto di vino non è più quello di una volta.
È mezzogiorno e dalla cucina proviene un profumo di agnolotti appena preparati: Marisa chiama tutti a rapporto… “È ora di pranzo!”. Fausto scende dal trattore controllando bene che il tubo non perda olio, Cristian esce dalla cantina dopo essersi assicurato che tutte le botti siano a posto e Stefano, tornato dalle consegne, chiama le ragazze in ufficio “È pronto!”.
Una famiglia si ritrova seduta a un tavolo davanti a un piatto di agnolotti fumanti accompagnati da una bottiglia di Pinot Nero. Tra il vociare della tavola un pensiero ogni tanto riaffiora… Tutto ciò sarebbe stato possibile se la tenacia di Vigiö non lo avesse spinto a coronare il suo sogno?